La fotografia come prova

Nella seconda metà dell’Ottocento, la fotografia diventa un utile strumento di ricerca e di documentazione nell’esplorazione dell’universo umano e naturale, permettendo di catturare e fissare su un supporto i misteri del micro e macrocosmo. Dall’antropologia alla botanica, dalla medicina alla criminologia, abituati ad avvalersi del disegno, gli studiosi trovano nella fotografia la soluzione ottimale per fermare, analizzare e interpretare i dati

In ambito medico, si ripongono grandi aspettative nelle nuove tecniche di riproduzione ottica, come le fotomicrografie: immagini fedeli e oggettive di soggetti non visibili a occhio nudo, ottenute mediante una macchina fotografica collegata al microscopio. A tal proposito, il fotografo e scienziato Francesco Negri lavora a un’intensa produzione di lastre fotomicrografiche e, nel 1884, fotografa il bacillo del colera appena scoperto da Robert Koch.

L’impiego dello strumento fotografico torna utile anche nella documentazione delle spedizioni in terre lontane – volte alla scoperta di popolazioni sconosciute – che consentono la misurazione di diversi tipi umani e ne colgono così le peculiarità fisiche e culturali. A questo riguardo, particolarmente noto è il caso di Cesare Lombroso che, a partire dal 1860, raccoglie una grande quantità di immagini, servendosi della fotografia come prova documentaria – associata alle misurazioni antropometriche dei crani – a supporto della formulazione delle sue teorie di antropologia criminale.