La fotografia spiritica
Nella seconda metà dell’Ottocento, vi è un crescente interesse nei confronti del mondo ultraterreno e il movimento dello spiritismo ben risponde a questa esigenza di mettersi in comunicazione con il mondo dei morti. Inoltre, si tratta di un particolare momento storico di elaborazione del trauma collettivo (la fine della guerra civile per gli Stati Uniti, della guerra franco-prussiana per la Francia, etc.) che favorisce la richiesta di immagini raffiguranti le sembianze dei propri cari defunti. In questo contesto si afferma la fotografia spiritica: figure eteree e impalpabili – quelle che dovrebbero essere entità spirituali e/o fantasmi – si sovrappongono al soggetto principale ritratto.
Nonostante la fotografia non abbia la facoltà di rivelare la presenza degli spiriti – tant’è che questo tipo di immagini si ottiene mediante la sovrapposizione di due diverse lastre –, numerosi ciarlatani riescono a utilizzare questo sistema per far credere a ingenui clienti di avere accesso all’aldilà. Uno dei casi più noti è quello di William Howard Mumler che, nel 1861, si accorge casualmente di questa possibilità e decide di sfruttarla: al prezzo di 7,50 dollari, ricevendo una descrizione dello spirito, è in grado di arrivare all’immagine desiderata. Un caso analogo è quello dell’inglese William Hope e del suo gruppo spiritualista Crewe Circle, che vengono perfino difesi dallo scrittore Arthur Conan Doyle: nel suo libro intitolato The Case for Spirit Photography (1922) presenta una serie di casi verificati di fotografia ‘paranormale’ per rispondere alle accuse di frode mosse all’amico.