I primi viaggi fotografici
A partire dal Seicento, la pratica del viaggio di formazione diventa sempre più diffusa e necessaria, concepita come momento di verifica sul campo delle conoscenze apprese dallo studio. Francia e Italia diventano quindi protagoniste dei così detti Grand Tour che si trasformano in poco tempo in un vero momento di turismo, prima individuale e poi collettivo.
Nell’Ottocento, la progressiva diffusione della ferrovia, dei viaggi organizzati e della fotografia aprono le porte a luoghi ben più lontani rispetto alle mete originarie, aprendo lo sguardo a ciò che viene considerato “altro” rispetto alla cultura dominante della civiltà occidentale. Le fotografie diventano un mezzo oggettivo, una copia fedele della realtà, e per questo motivo i primi fotografi-viaggiatori realizzano scatti che documentano i luoghi e i monumenti come li vedono, evocando anche il passato.
In questo modo, interessi artistici e archeologici iniziano a intrecciarsi con interessi puramente politici e economici, legati soprattutto all’espansionismo imperiale europeo e alla necessità di commercializzare le immagini scattate, capaci di confermare la credibilità di ciò che la pittura e il disegno proponevano già da secoli. Tra i numerosi nomi che ricordiamo, Felice Beato è stato uno dei primi fotografi a viaggiare in tutto il mondo, documentandone paesaggi, monumenti e culture. Egli concentra la propria attività principalmente in Asia, fotografando per esempio la Seconda guerra dell’oppio in Cina.
Il compito dei fotografi, in questo caso, diventa duplice: da un lato si tratta di documentare e di far conoscere il "diverso" a chi è rimasto in patria (possibilmente rendendo redditizia questa attività), dall’altro si tratta di studiare e interpretare una realtà radicalmente diversa dalla propria, dimostrando in molti casi la superiorità della razza occidentale e usando la fotografia come strumento di potere.