Il Dagherrotipo
All’inizio dell’Ottocento le immagini venivano riprodotte principalmente attraverso la tecnica dell’incisione. In questo periodo Joseph Nicéphore Niépce porta avanti le sue ricerche e sperimenta diverse sostanze per arrivare alla produzione di immagini mediante la luce. Nel 1829, le difficoltà incontrate lo spingono a collaborare con Louis Jacques Mandé Daguerre, anch’egli intento in esperimenti simili.
Nonostante la morte di Niépce (1833), Daguerre prosegue il lavoro e la sua invenzione viene presentata a Parigi il 7 gennaio 1839: si tratta del dagherrotipo, un’immagine fotografica ottenuta su una lastra di rame argentata, resa sensibile alla luce mediante vapori di iodio. Con questo procedimento, i dettagli vengono resi in modo così preciso e nitido da suscitare la sensazione che l’immagine sia viva. Tuttavia, il dagherrotipo è estremamente delicato e, per questo motivo, deve essere preservato in un contenitore che, spesso arricchito da una cornice decorata, diventa così oggetto di lusso.
Negli anni successivi viene perfezionato, ma rimane il grande limite di non essere riproducibile, a dispetto di altri nuovi procedimenti – come, ad esempio, la calotipia – che consentono di creare più copie a partire dalla stessa immagine. In Italia il primo dagherrotipo viene realizzato nell’ottobre del 1839 da Enrico Federico Jest che raffigura la Chiesa torinese della Gran Madre di Dio; l’anno successivo, Jest traduce in italiano il manuale di Daguerre, aprendo così la strada a moltissimi altri fotografi italiani.
Nonostante la morte di Niépce (1833), Daguerre prosegue il lavoro e la sua invenzione viene presentata a Parigi il 7 gennaio 1839: si tratta del dagherrotipo, un’immagine fotografica ottenuta su una lastra di rame argentata, resa sensibile alla luce mediante vapori di iodio. Con questo procedimento, i dettagli vengono resi in modo così preciso e nitido da suscitare la sensazione che l’immagine sia viva. Tuttavia, il dagherrotipo è estremamente delicato e, per questo motivo, deve essere preservato in un contenitore che, spesso arricchito da una cornice decorata, diventa così oggetto di lusso.
Negli anni successivi viene perfezionato, ma rimane il grande limite di non essere riproducibile, a dispetto di altri nuovi procedimenti – come, ad esempio, la calotipia – che consentono di creare più copie a partire dalla stessa immagine. In Italia il primo dagherrotipo viene realizzato nell’ottobre del 1839 da Enrico Federico Jest che raffigura la Chiesa torinese della Gran Madre di Dio; l’anno successivo, Jest traduce in italiano il manuale di Daguerre, aprendo così la strada a moltissimi altri fotografi italiani.